La domanda è: perché si deve pagare il canone Rai? E, soprattutto, perché devono pagarla i professionisti possessori di personal computer, tablet, smartphone, iPad, videofonini e persino i sistemi di videosorveglianza?
La risposta alla prima domanda è tanto semplice, quanto assurda. Esiste un Regio Decreto (udite!udite!) del 1938, esattamente il N°246, che recita così: "Chiunque detenga uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle radioaudizioni è obbligato al pagamento del canone di abbonamento". Da notare che si parla di "radioaudizioni" perché nel 1938 (cioè nel paleolitico legislativo!) non esisteva ancora la televisione e, meno che meno, esisteva Internet. La seconda domanda trova risposta in quanto stabilito dal Decreto Salva Italia: "Le imprese e le società, ai sensi di quanto previsto dal decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n.917, nella relativa dichiarazione dei redditi, devono indicare il numero di abbonamento speciale alla radio o alla televisione la categoria di appartenenza ai fini dell’applicazione della tariffa di abbonamento radiotelevisivo speciale, nonché gli altri elementi che saranno eventualmente indicati nel provvedimento di approvazione del modello per la dichiarazione dei redditi, ai fini della verifica del pagamento del canone di abbonamento radiotelevisivo speciale".
Ed ecco spiegato dal punto di vista delle norme, perché si deve pagare il canone Rai. Dal punto di vista della ragione, invece, proprio non riusciamo a trovarla una spiegazione. Siamo sempre stati convinti che a ogni tassa richiesta ai cittadini, debba corrispondere un servizio, meglio se di qualità. Se al pagamento della tassa non corrisponde un beneficio, siamo di fronte a un’estorsione. Nel caso specifico, "canone", significa: corrispettivo periodicamente versato come controprestazione per l'utilizzo di un bene o di un servizio. Giacché non ci sembra che la Rai offra ai cittadini servizi diversi o in più (stendendo un velo pietoso sulla qualità) rispetto a quelli offerti da altre reti televisive del tutto gratuite, è sbagliato dire che, con il canone, di fatto, si paga una sorta di “pizzo” legalizzato? Tra l’altro, la Rai non lesina sulle pubblicità, diventate sempre più invasive e snervanti. Un business da milioni di euro che, se saggiamente amministrato, dovrebbe largamente bastare alla sua sopravvivenza. E, poi, se proprio vogliamo dirla tutta, Mamma Rai pecca davvero di tanta presunzione se pensa che i possessori di apparecchi che si collegano a Internet, muoiano dalla voglia di utilizzarli per vedere i suoi "sensazionali" programmi.
In rete infuria la battaglia? Certo! E non c’è da meravigliarsi. Ci sono meccanismi che, per quanti sforzi si possano fare, restano ai più sempre incomprensibili. E le cose che non si capiscono, di solito preoccupano e fanno arrabbiare.
Di questo passo, come ironicamente qualcuno ha ipotizzato su Twitter e altri social network, c’è il rischio che la norma si possa allargare e che il salato “obolo” finirà per essere richiesto anche per gli occhi di quanti si soffermano a guardare il cartellone pubblicitario di uno di quei polpettoni Made in Rai meglio conosciuti come fiction. E se questo canone ha preso di mira la tecnologia, la domanda che si pone il nostro "pesce fuori dall’acqua" con tanto di orologio col quadrante digitale e i numeri grossi, forse tanto peregrina non è!
Se ti va, clicca e leggi: Il canone Rai, il pizzo legalizzato più odiato dagli italiani

E' ora di finirla con la stupidaggine del Canone non dovuto.
RispondiEliminaE' la stessa cosa che prendersela con il finanziamento pubblico dei partiti.
Vorrei vedere come sarebbe l'Italia oggi dopo che per 60 anni la politica l'avessero fatta solo i Berlusconi e l'informazione solo i Berlusconi. Dico Berlusconi chiaramente per intendere chi ha soldi.